A “Il Quotidiano della Calabria” (che non ha pubblicato)
Anch’io sono rimasto colpito negativamente dalla fiction su Rino Gaetano. La più bella delle sue poesie/canzoni, ignorata dall’autore della fiction e citata da Vito Teti sabato su Il Quotidiano: A me piace il Sud, ci regala l’intensità di un paesaggio bello e struggente e una strofa ripetuta che parla anche del film: “ma come fare non so, sì devo dirlo ma a chi, se mai qualcuno capirà, sarà senz’altro un altro come me”. Colui che doveva capire quel paesaggio, quella canzone e quella bellezza non è stato il regista o autore della fiction, non è stato “un altro come me”.
Queste frasi poetiche rappresentano, la voglia d’impegno, l’angoscia di non vedere soggetti politici che riuscissero a interpretare e capire tanta bellezza e tanto bisogno di “conservare”, di proteggere, di valorizzare il nostro mondo e i nostri paesaggi.
Volevo scrivere di questa canzone e delle suggestioni che crea quando Renato Nicolini e il sociologo Osvaldo Pieroni hanno redatto la legge sul paesaggio e ragionare delle responsabilità che Rino Gaetano metteva sulle loro spalle. Anche quando scellerati, potenti e ricchi volevano costruire un grande Acqua Park alla foce del Neto, proprio tra i suoi/nostri “fichi d’india e le spine dei cardi” Rino Gaetano e la sua canzone erano una risposta autorevole e profonda che avrei voluto dare.
Rino, come tutti noi in quegli anni di piombo, aveva bene in testa la dimensione della politica e dell’impegno nel sociale e non trovava, come tutti noi, quel soggetto (soprattutto politico) capace di capire la complessità della nostra generazione, di ciò che era bello, di quello che andava buttato via e di quello che andava salvaguardato del nostro personale background e del mondo che abbiamo vissuto e che inesorabilmente scompariva.
La canzone parla di quello struggimento e di quanto Rino fosse profondamente calabrese, esprime quel “richiamo della foresta” che anch’io come tanti calabresi o migranti meridionali di tutto il mondo, abbiamo sentito. Come quando dovevo scegliere se continuare a vivere a Firenze (“la città più bella del mondo” per dirla citando il film dei Taviani) o ritornare a vivere, peggio, ma nella complessità e bellezza di questa terra.
La fiction forse lascia intuire il suo bisogno di impegno, soprattutto politico, che non ha soddisfatto. Ma, ha ragione Teti, lascia sospeso nel nulla il legame di Rino con la comunità che lui sentiva come propria e che ha ispirato alcune delle sue canzoni più belle.
Per concludere e ripetermi . Rino, con la strofa citata prima, ci chiede uno sforzo interpretativo, ci implora di capire e di conservare, ci incita a riconoscere il bello, ci spinge ad un’azione politica che parte dal bisogno di guardare dentro noi stessi e di valorizzare quello che siamo, nulla di più.
E questo il film non l’ha proprio capito. Peppino Curcio
Anch’io sono rimasto colpito negativamente dalla fiction su Rino Gaetano. La più bella delle sue poesie/canzoni, ignorata dall’autore della fiction e citata da Vito Teti sabato su Il Quotidiano: A me piace il Sud, ci regala l’intensità di un paesaggio bello e struggente e una strofa ripetuta che parla anche del film: “ma come fare non so, sì devo dirlo ma a chi, se mai qualcuno capirà, sarà senz’altro un altro come me”. Colui che doveva capire quel paesaggio, quella canzone e quella bellezza non è stato il regista o autore della fiction, non è stato “un altro come me”.
Queste frasi poetiche rappresentano, la voglia d’impegno, l’angoscia di non vedere soggetti politici che riuscissero a interpretare e capire tanta bellezza e tanto bisogno di “conservare”, di proteggere, di valorizzare il nostro mondo e i nostri paesaggi.
Volevo scrivere di questa canzone e delle suggestioni che crea quando Renato Nicolini e il sociologo Osvaldo Pieroni hanno redatto la legge sul paesaggio e ragionare delle responsabilità che Rino Gaetano metteva sulle loro spalle. Anche quando scellerati, potenti e ricchi volevano costruire un grande Acqua Park alla foce del Neto, proprio tra i suoi/nostri “fichi d’india e le spine dei cardi” Rino Gaetano e la sua canzone erano una risposta autorevole e profonda che avrei voluto dare.
Rino, come tutti noi in quegli anni di piombo, aveva bene in testa la dimensione della politica e dell’impegno nel sociale e non trovava, come tutti noi, quel soggetto (soprattutto politico) capace di capire la complessità della nostra generazione, di ciò che era bello, di quello che andava buttato via e di quello che andava salvaguardato del nostro personale background e del mondo che abbiamo vissuto e che inesorabilmente scompariva.
La canzone parla di quello struggimento e di quanto Rino fosse profondamente calabrese, esprime quel “richiamo della foresta” che anch’io come tanti calabresi o migranti meridionali di tutto il mondo, abbiamo sentito. Come quando dovevo scegliere se continuare a vivere a Firenze (“la città più bella del mondo” per dirla citando il film dei Taviani) o ritornare a vivere, peggio, ma nella complessità e bellezza di questa terra.
La fiction forse lascia intuire il suo bisogno di impegno, soprattutto politico, che non ha soddisfatto. Ma, ha ragione Teti, lascia sospeso nel nulla il legame di Rino con la comunità che lui sentiva come propria e che ha ispirato alcune delle sue canzoni più belle.
Per concludere e ripetermi . Rino, con la strofa citata prima, ci chiede uno sforzo interpretativo, ci implora di capire e di conservare, ci incita a riconoscere il bello, ci spinge ad un’azione politica che parte dal bisogno di guardare dentro noi stessi e di valorizzare quello che siamo, nulla di più.
E questo il film non l’ha proprio capito. Peppino Curcio
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