Democrazia Diretta

Questi fotogrammi li ho estratti da un documentario ("I granai del popolo" dell'archivio Luce http://www.archivioluce.com/archivio/jsp/schede/videoPlayer.jsp?tipologia=&id=&physDoc=4254&db=cinematograficoDOCUMENTARI&findIt=false&low&section=/)
girato all'indomani della formazione del primo vero governo dell'Italia liberata, ovvero il secondo governo Badoglio, qualche mese dopo la caduta del fascismo. A quel governo parteciparono, per la prima volta dopo il ventennio, i disciolti partiti antifascisti. Ogni parte di queste foto è, a mio avviso, ben studiata e profondamente pensata prima di arrivare nei pochi cinema dell'Italia liberata (il Nord restava da liberare ed era in atto la Resistenza armata al nazifascismo). Cosa noto in queste foto:
Prima di tutto il documentario non è stato girato dentro un municipio (esautorati dalla democrazia e non più credibili), ma fuori in mezzo ad un'aia o una piazza con intorno immagini di luoghi in costruzione, pezzi di mobili accumulati in un angolo; si vede addirittura una gallina razzolare, una delle persone attorno al tavolo è seduta su quella che sembra una botte. C'è un signore con un bambino in braccio, quello seduto sulla botte è una persona anziana, c'è un altro anziano, sempre accanto al prete, ma anche uno che sembra un nuovo leader a capotavola, due signori vestiti bene e il prete all'altro capo della tavola e poi il carabiniere con la sua cartella sul tavolo. Non c'è una donna. I bicchieri d'acqua segno di una seduta non breve. Lavoratori, cittadini di un'Italia ideale, ma concreta, vicina alla realtà, povera certo, ma orgogliosamente libera e creativa.
Il significato è chiaro, si stava costruendo qualcosa di nuovo, di nettamente e radicalmente diverso dal passato fascista. Dovevano mostrare agli americani e all'Europa intera un nuovo modello di governo locale per "far vedere" cosa sapevano fare i democratici della prima zona che gli alleati liberavano. Quello che cattolici, antichi liberali e giovani azionisti, comunisti e socialisti mostravano era idealmente vicino a quello che i loro sogni ideologici volevano costruire. Un modo come dire: si riparte da qui!
Quell'inizio e quello spirito, non lo ritroveremo mai più.

lunedì 25 maggio 2009

Catena, Trenta 25 Aprile 2009

L’Auser di Cosenza inizia in Presila la sua attività con la festa del 25 Aprile e recuperando una struttura del comune di Trenta in località Catena.

Una volta la strada passava di là e faceva due curve a gomito, è la prima cosa che si nota venendo alla festa del 25 aprile. Poi le insolite bandiere arancioni dell’Auser, ma appena arrivati il canto di “Bella ciao” (quello roccheggiante) ha subito reso conforme alle attese la giornata che ricorda la liberazione dal nazifascismo.

La mattina i giochi dei bimbi e dei ragazzi sono stati i protagonisti. L’associazione C-Siamo di Trenta, coinvolta nell’iniziativa ha animato la giornata collaborando alla riuscita della manifestazione, tante anche le presenze per una delle poche feste in provincia di Cosenza che si sono svolte per ricordare questa giornata.

I volontari dell’Auser (che abbiamo scoperto non essere solo anziani) si sono dati molto da fare per realizzare questa splendida giornata. Già da una settimana hanno tagliato l’erba degli spazi all’aperto, sistemato lo spazio al chiuso che l’amministarzione ha loro dato in gestione e hanno preparato le griglie per preparare le salsicce arrostite.

Poi è venuto il momento dei ricordi e delle testimonianze. Ha moderato gli interventi Luigi Ferraro, responsabile dell’Auser e curatore della manifestazione. Ogni intervento è stato intervallato dalla recita di poesie sui temi della Resistenza e della Libertà.

Ha iniziato il vicesindaco di Trenta che ha sottolineato quanto questa amministrazione dia importanza al ruolo delle associazioni e ha messo in risalto il ruolo che il CSV sta avendo per la loro valorizzazione.

La testimonianza del responsabile dell’Istituto Calabrese per Storia dell’Antifascismo e dell’Italia Contemporanea (ICSAIC), Leonardo Falbo, citando Calamandrei, ha spiegato la differenza tra Resistenza breve (quella armata contro il nazifascismo) e resistenza lunga (quella clandestina e antifascista) e di quanto, nonostante la Calabria fosse stata già liberata dagli angloamericani dal 25 luglio 1943, i calabresi hanno contribuito alla resistenza armata nel nord Italia e negli altri luoghi dove si svolsero le imprese più importanti della lotta partigiana. Ha infine ricordato chi nomi dei soldati della Presila morti a Cefalonia, i partigiani trucidati alle Fosse Ardeatine o deportati a Mathausen.

Ha proseguito Peppino Curcio mostrando l’indice del fondo Cesare Curcio riordinato dall’Archivio di Stato di Cosenza e l’importanza di questi documenti: rappresentano il momento della nascita della democrazia nella provincia di Cosenza. Ha poi ricordato anche Raffaele Carravetta di Trenta uno dei pochi antifascisti cosentini perseguitati dal Tribunale Speciale fascista.

Poi il ricercatore universitario Oscar Greco ha messo in luce la rilevanza rivoluzionaria dei decreti Gullo e il ruolo dei contadini nella creazione del nostro Stato Democratico.

Infine Giovanbattista Giudiceandrea ha ricordato alcuni eventi dell’antifascismo in Presila e ha attualizzato il messaggio positivo che la Resistenza ha consegnato a tutti noi.

il mio intervento

Presentazione del Fondo Cesare Curcio

recentemente riordinato a cura dell’Archivio di Stato di Cosenza,

in occasione della Festa della Liberazione il 25 aprile del 2009 a Catena di Trenta

 

 

Quando cinque anni fa, nel 2004, trovai le carte che oggi sono state riordinate dall’Archivio di Stato (che non ho modo di ringraziare) ebbi un vero sussulto di emozioni. Ho subito capito la rilevanza dei documenti che mi trovavo davanti e feci due atti che mi sembrarono naturali e conseguenti.

  • Segnalai alla Soprintendenza ai beni archivistici di Reggio Calabria l’esistenza del fondo;
  • presentai pubblicamente parte di quelle carte innanzitutto ai cittadini di Pedace.

 

Il luogo dove scelsi di esporre quei documenti è stato il convento di San Francesco di Paola a Pedace esattamente nella stessa stanza dove settantadue anni prima (nel 1932) vennero nascosti i documenti (una bandiera rossa, appunti di sottoscrizioni di fondi per attività clandestine, libri, giornali clandestini, ecc.) che costarono la persecuzione a mio padre e agli antifascisti presilani e cosentini.

 

Le carte ritrovate contengono soprattutto riferimenti all’attività politica dell’immediato dopoguerra, in particolare a quel delicatissimo momento politico che va dal 25 luglio del 1943, ovvero, dalla caduta del fascismo al 1947. Ovvero gli anni della nascita della democrazia non solo in Italia (e prima in Italia) ma in tutta Europa.

 

Quando si parla di Liberazione, di Resistenza e di 25 aprile si è soliti far riferimento al limitato periodo che va dal 25 luglio del 43, al 25 aprile del 1945. In realtà è solo un luogo comune, la gran parte degli studiosi e storici concordano nel ritenere che la cosiddetta Resistenza (alcuni la chiamano Resistenza lunga) abbracci anche il periodo dell’antifascismo e che quindi coinvolga anche l’attività antifascista fin dall’insediamento del regime fascista, ovvero dal 1922.

 

Se così è, il contributo che dettero i Resistenti, Partigiani o Antifascisti calabresi e cosentini in particolare fu triplice. I primi due contributi sono comuni al resto dell’Italia, il terzo è un contributo che rigurdò solo l’Italia meridionale e in questo contesto Cosenza e i Casali ebbero un ruolo non piccolo di cui le mie “carte” danno ampia testimonianza, d’altronde Cosenza espresse ben 4 ministri nei secondo e terzo Governo Badoglio (Mancini, Quintieri, Gullo e Cassiani come sottosegretario) in particolare:

 

Il primo contributo è quello dei calabresi che divennero partigiani e combatterono, armi in pugno, contro il nazifascismo. Di loro, in questi ultimi anni, soprattutto ad opera dell’ICSAIC, ma anche di registi e scrittori abbiamo appreso molte cose delle loro vicende personali e politiche. Nella sola Presila decine furono i partigiani protagonisti di azioni di guerra contro le truppe naziste e fasciste in centro e in alta Italia.

 

Il secondo contributo alla lotta antifascista è quello che va dal 1922 al 1943. Questa attività concorse a mantenere viva la fiaccola della libertà per vent’anni, attraverso l’attività, occulta o meno, di diverse organizzazioni politiche, ma anche semplici cittadini, più o meno clandestine. Ricordiamo (a solo titolo di esempio della complessità delle organizzazioni antifasciste e della capacità di svolgere politica attiva tra la gente e di attirare il loro consenso nonostante un regime oppressivo cercava di impedirlo) la vicenda dell’ospitalità data al ricercato Pietro Ingrao (ricercato sia a Milano che a Roma) nei primi mesi del 1943. La vicenda di Pietro Ingrao (futuro Presidente della Camera dei Deputati durante gli anni di piombo del rapimento Moro) è la testimonianza del legame degli antifascisti con la gente e la capillarità della organizzazione clandestina impermeabile al regime fascista. Nelle campagne di Pedace, si organizzavano riunioni clandestine, praticamente quasi alla luce del sole, nonostante non c’era alcun sentore dell’imminente caduta del regime, anzi le incerte sorti della guerra avevano acuito i controlli polizieschi verso gli antifascisti, come nel caso dello stesso Ingrao.

Ma ci sono anche episodi piccoli, ma significativi e misconosciuti, come la canzone richiesta, imposta, dal quadrunviro Michele Bianchi al suo compagno di liceo Michele De Marco, alias Ciardullo, che avrebbe dovuto dedicarla alla gloria del regime e che si è trasformata nella goliardica e casereccia: “chissa Sila tutta norra chi n’addure dde jinorra. Tachitapullallero, tachitapullallallà”. Ricordiamo anche la poesia dello stesso De Marco quando il regime chiese di contribuire a dare oro alla Patria: “io c’ alle scarpe un tiegnu mancu tacce, tu cierchi l’oru e te rivuolgi a mie”.

 

E di questa capillare rete di relazioni ne è testimonianza il fondo Cesare Curcio. È testimonianza del terzo tipo di contributo che la Calabria e la provincia di Cosenza hanno dato alla costruzione del nostro stato democratico. Questo contributo è quello più complesso e forse il meno studiato, quello che va dalla caduta del fascismo alla fine della lotta armata antifascista. Sto parlando dei momenti in cui venne decisa l’istituzione di un’Assemblea Costituente, ovvero di dar vita a uno Stato Nuovo che ponesse fine, in maniera democratica, e quindi consensuale, all’esperienza monarchica.

Fu in quei giorni che si affermò l’idea che il nuovo Stato doveva avere delle solide basi di consenso tra i cittadini, prima fra tutti dei contadini del Sud che con l’esperienza dei regimi monarchici avevano avuto soltanto delle grandi delusioni ed imbrogli, prima ad opera dei Borboni poi ad opera dei Piemontesi e infine dei fascisti che lasciarono immutate le loro condizioni e negati i loro diritti. La questione ultracentenaria degli usi civici delle terre, silane in particolare, diventava, un metro, uno scoglio, una “condizio sine qua non” o veniva affrontato e risolto a favore dei contadini o per i contadini il nuovo Stato sarebbe diventato la solita minestra indigeribile.

Puntualmente le occupazioni delle terre ricominciarono e non trovarono muri di gomma ma ascolto, comprensione leggi adeguate e rivoluzionarie, come lo furono i decreti Gullo. E dico rivoluzionarie non a caso ma citando eminenti storici come l’anglo fiorentino Paul Ginsborg  che li considera come l’unico vero elemento innovativo, riformatore e rivoluzionario dell’allora stato nascente.

 

Fausto Gullo, permettetemi questa digressione personale, non finirà mai di stupirmi per la profondità dei suoi ragionamenti e per l’acume dei suoi discorsi e delle sue analisi. Se esistesse un metro per misurare quanto fosse comunista credo che da un lato segnerebbe 100 per il suo spirito di fedeltà all’organizzazione, ma se l’altra parte del metro potesse misurare l’adesione a un’idea di comunismo che toglie le libertà e afferma la dittatura del proletariato la misura sarebbe certamente zero.

 

Il nome di Fausto Gullo lo si ritrova nei momenti decisivi, come quando si davano direttive per la formazione dei Comitati di liberazione nazionali in ogni paesino del cosentino. E’ sicuramente lui il vero leader che stava dietro al pugno di uomini (incluso mio padre) che condussero questa impresa gigantesca di tener testa e condurre un movimento complesso e contraddittorio come lo erano l’insieme delle neonate formazioni politiche di allora che avevano il loro motore di governo nei CLN. Vi invito ad andare sull’archivio Luce e guardare le immagini dei suoi discorsi, i suoi modi e quella sua voce inconfondibilmente gentile e sottile..

 

Insomma se al nord facevano la guerra noi qui stavamo costruendo le basi del nuovo stato, il modello da presentare agli alleati, la dimostrazione al mondo che c’era un’Italia che non era stata a guardare mentre il fascismo eliminava le libertà fondamentali e la democrazia.

I ministri di allora dovevano dimostrare che c’era un Italia pronta a reagire e ad organizzarsi. E questa capacità arrivò a preoccupare alle stesse forze alleate che in alcuni casi reagirono bruscamente contro alcune forme di protesta come nel caso degli arresti in Sila verso gli operai che lavoravano ai cantieri per tagliare gli alberi come bottino di guerra.

 

Io spero di aver suscitato interesse e voglia di far domande e porsi interrogativi. Il mio archivio è a disposizione di tutti gli studiosi. Per adesso, solo dietro appuntamento, purtroppo compatibilmente con i miei orari di lavoro. Ma io spero in futuro che possa andare in porto un progetto (che valorizzi oltre al Fondo anche i luoghi dove si rifugiò Pietro Ingrao) che possa far rendere di migliore fruizione il mio archivio.

Vi chiedo solo una cortesia a chiunque voglia consultarlo di portarsi una macchina fotografica digitale, di riprodurre il documento che si vuole consultare e di lasciarne copia (il costo di questa procedura è zero) in questo modo si permetterà piano piano di digitalizzare l’intero archivio che sarà poi messo in rete per una migliore e più consona consultazione da parte di tutti oltre che una più accorta conservazione dei documenti originali.