Democrazia Diretta

Questi fotogrammi li ho estratti da un documentario ("I granai del popolo" dell'archivio Luce http://www.archivioluce.com/archivio/jsp/schede/videoPlayer.jsp?tipologia=&id=&physDoc=4254&db=cinematograficoDOCUMENTARI&findIt=false&low&section=/)
girato all'indomani della formazione del primo vero governo dell'Italia liberata, ovvero il secondo governo Badoglio, qualche mese dopo la caduta del fascismo. A quel governo parteciparono, per la prima volta dopo il ventennio, i disciolti partiti antifascisti. Ogni parte di queste foto è, a mio avviso, ben studiata e profondamente pensata prima di arrivare nei pochi cinema dell'Italia liberata (il Nord restava da liberare ed era in atto la Resistenza armata al nazifascismo). Cosa noto in queste foto:
Prima di tutto il documentario non è stato girato dentro un municipio (esautorati dalla democrazia e non più credibili), ma fuori in mezzo ad un'aia o una piazza con intorno immagini di luoghi in costruzione, pezzi di mobili accumulati in un angolo; si vede addirittura una gallina razzolare, una delle persone attorno al tavolo è seduta su quella che sembra una botte. C'è un signore con un bambino in braccio, quello seduto sulla botte è una persona anziana, c'è un altro anziano, sempre accanto al prete, ma anche uno che sembra un nuovo leader a capotavola, due signori vestiti bene e il prete all'altro capo della tavola e poi il carabiniere con la sua cartella sul tavolo. Non c'è una donna. I bicchieri d'acqua segno di una seduta non breve. Lavoratori, cittadini di un'Italia ideale, ma concreta, vicina alla realtà, povera certo, ma orgogliosamente libera e creativa.
Il significato è chiaro, si stava costruendo qualcosa di nuovo, di nettamente e radicalmente diverso dal passato fascista. Dovevano mostrare agli americani e all'Europa intera un nuovo modello di governo locale per "far vedere" cosa sapevano fare i democratici della prima zona che gli alleati liberavano. Quello che cattolici, antichi liberali e giovani azionisti, comunisti e socialisti mostravano era idealmente vicino a quello che i loro sogni ideologici volevano costruire. Un modo come dire: si riparte da qui!
Quell'inizio e quello spirito, non lo ritroveremo mai più.

mercoledì 6 dicembre 2023

Piccola mia biografia

Mi hanno chiesto al CAI una mia biografia breve ad un incontro sul brigantaggio.

Condizionato da un padre ingombrante (Cesare Curcio), che non ho conosciuto perché morto quando avevo 2 anni, ho creduto di emularlo facendo dell’impegno civico e politico un tratto della mia personalità e del mio modo di stare tra gli altri.

Come mio padre impegnato nei movimenti collettivi per l’occupazione delle terre in Sila, nel mio piccolo ho partecipato a diversi movimenti collettivi a cominciare da quelli studenteschi, ma anche per i diritti delle persone disabili.

Dopo la laurea in scienze politiche conseguita a Firenze, conseguita mentre il mio impegno civico era intenso anche in quella città, ho aderito a Cittadinanzattiva, l’organizzazione che aveva al suo interno i Tribunali per i diritti del malato. Un impegno costante e intenso, diventato una vera e propria impresa sociale, durato fino al 2000. Il lavoro consisteva nella gestione di un servizio di intervento e tutela per i diritti del malato chiamato PIT (Progetto Integrato di Tutela) che agiva in relazione stretta con gli URP (Uffici per le relazioni con il pubblico) delle aziende sanitarie calabresi e coinvolgeva tutte le associazioni di malati o di cittadini organizzati per la tutela della salute, presenti nel territorio calabrese.
Assieme a questo impegno nella sanità mi sono interessato anche di partecipazione civica nei comuni con specifiche ricerche e sono stato attivo protagonista di iniziative per istituire le primarie per la scelta dei candidati alle elezioni, per l’elezione diretta del difensore civico, per il sistema maggioritario, ho partecipato a movimenti ambientalisti e di cittadini per la chiusura di discariche inquinanti, contro il nucleare e la tutela dell’ambiente, non ho mai cessato di partecipare a movimenti per la lotta al superamento dell’handicap, ho dato vita presso una struttura di accoglienza diurna per malati di mente all'Associazione Pazza Idea
.
Dal 2004 al 2009, circa, ho lavorato al Centro Servizi per il Volontariato dove trovarono utile le mie capacità relazionali e di intervento nel territorio a fianco alle associazioni di volontariato.
Nel 2010 ho scritto il libro Ciccilla. Storia della brigantessa Maria Oliverio del brigante Pietro Monaco e della sua comitiva. Da allora non ho mai smesso di fare ricerche sul brigantaggio nel casali di Cosenza e nel 2017 ho scritto con Paolo Rizzuti “Briganti Casalini” che prosegue la storia di Ciccilla e cerca di scoprire chi furono le vittime del fenomeno del brigantaggio.
Dal 2000 inizia un altro impegno costante: la cura di Pratopiano. Un territorio ricco di storia legato alla vicenda di mio padre e, contemporaneamente, caro anche a mio zio Pietro D’Ambrosio che ritrovò nelle sue ricerche archivistiche proprio a Pratopiano le tracce di due importanti briganti, Pietro Monaco e sua moglie Maria Oliverio alias Ciccilla.
L’impegno inizia con la creazione di un parco giochi per ragazzi subito trasformato in una base scout, proprio perché gli scout fanno dell’esplorazione la loro mission.
L’avvicinamento al CAI è stato consequenziale a queste esplorazioni che troppo spesso diventavano sentieri per valorizzare luoghi e storie.
Ho partecipato al Movimento per la fusione dei comuni di Casali del Manco e mi sono anche candidato a sindaco, sono risultato eletto consigliere e in questo ruolo ho dato il mio contributo nella definizione dello Statuto comunale.
Mi sono dimesso da consigliere dopo che il comune, nel DUP, ha dichiarato il suo impegno per la valorizzazione di Pratopiano ritenendolo in conflitto con i miei interessi privati
Nel 2018 ho partecipato al corso per diventare guida CAI.
Nota finale: è mia la definizione di sentiero nello Statuto comunale (art. 6 comma 4)
“[Il Comune] Considera il sentiero come mezzo per la valorizzazione del paesaggio. Promuove e valorizza la straordinaria rete dei sentieri presenti nel proprio territorio.”

lunedì 3 luglio 2023

 

Il ricordo di una occupazione delle terre nel 1936, sotto il regime fascista

Di Peppino Curcio

 

Con l’Associazione Prometeo 88 inseguivamo la memoria di uno dei fenomeni più diffusi e importanti delle nostre comunità casaline per farne un film: le occupazioni delle terre. Cercavamo, perciò, le persone più anziane che ne avessero memoria. La mia vicina di casa Dora Iazzolino era tra queste. Ho avuto subito questa opportunità di chiederle come avvenivano questi forti momenti di lotta che si perdono nei secoli. Forse immutati.

Poi, come spesso accade quel progetto non si portò avanti, rimase sulla carta e non si trasferì mai su pellicola come avremmo voluto.

 

Se quel film non si potrà più realizzare, vorrei, comunque, rendere pubblica la storia che Dora mi ha raccontato, intercalandola con le sue risa, battute semiserie, improvvisi scatti di serio orgoglio pedacese e le vive emozioni quando il ricordo dei momenti più intensi gli riempivano di lacrime i suoi occhi azzurri.

La domanda iniziale era semplice, le chiesi se avesse partecipato a qualche occupazione delle terre in Sila e come avvenivano.

Mi aspettavo un racconto del dopoguerra e invece ricordò una straordinaria occupazione di terre in Sila che avvenne durante il fascismo negli anni quando lei era ancora una bambina.

Fu un momento che anche mio padre ricorda in alcuni suoi appunti.

 

1936 aprile-maggio. Bisognava fare qualcosa per i contadini in Sila per la terra delle patate. Una riunione clandestina in montagna. Dopo giorni si seppe che io l’avevo presenziata.

Arrestato quindi tre mesi per rottura ammonizione e per aver oltrepassato il limite territoriale del mio comune senza il permesso.

In quell’anno i contadini fecero la più grande manifestazione sotto il fascismo per l’occupazione delle terre. Interventi di tutte le autorità. Vittoria soddisfacente. Erano capeggiati da un loro sindacalista, contadino, Matteo Nicoletti, oggi compagno e attivista.

 

In quegli anni l’attività politica di mio padre pur se clandestina era sempre viva soprattutto tra i contadini. Infiltrarsi tra le maglie delle corporazioni contadine fasciste era anche una precisa politica del Partito Comunista clandestino.

A guidare i sindacati contadini fascisti c'era, come scrive mio padre, Matteo Nicoletti, suo cugino e vicino a Pratopiano (aveva in fitto i terreni della parrocchia). Mio padre scrive che partecipò alle riunioni organizzative (nonostante fosse perseguitato) e che queste occupazioni ebbero successo. Negli archivi romani trovai le relazioni dei Prefetti che confermavano quelle agitazioni contadine e che quelle terre a usi civici, prima negate, furono poi regolarmente assegnate.

Ma Dora come d'incanto trasformava quelle carte e quel linguaggio burocratico in carne viva, in Storia.

Mi raccontò che partì di notte e con altre famiglie pedacesi, la mia compresa. C’erano i capifamiglia, le mogli e i figli provenienti da ogni “vicinanzo” di Pedace: dello Spiconello, dei Suttani, della Parrera, della Iotta, del Timpariellu, delle Barracche. Il loro bagaglio, con quel poco che avevano da mangiare, era portato dai loro asini assieme agli arnesi da lavoro.

Doveva essere un lungo corteo che attraversava l’intera nostra montagna. Probabilmente le terre a usi civici erano quelle intorno a Moccone per questo, forse, si risaliva da Serra e poco più avanti si univano con i contadini provenienti da Spezzano.

Immagino ci fosse anche la mia famiglia allargata, guidata da mio nonno e dai numerosi figli del fratello Luigi rimasti a quel tempo orfani. Mio padre, sorvegliato speciale di polizia, non poteva permettersi di partecipare, pena l’immediato arresto.

Dora racconta che arrivati sui terreni da occupare, quando era appena giorno, trovarono i carabinieri già schierati a difesa di quelle terre che non erano riconosciute come “comuni”. C'era tutta la comunità.

C’era sicuramente memoria delle occupazioni di terre avvenute pochi anni prima, nel 1925, a San Giovanni e alla strage di contadini che ne seguì. Doveva esserci molta paura. C’era la consapevolezza che si stava sfidando il regime fascista a quel tempo fortissimo e con grande consenso e legittimità.

Mi disse che fu lei con altri bambini a sfidare quelle guardie armate, da soli e per primi, invasero i terreni e quel limite invalicabile. Vidi i suoi occhi riempirsi di lacrime e un suo scatto come a scacciare un’emozione troppo forte. E la paura di quei bimbi doveva essere grande.

Poi seguirono le mamme che con altrettanta paura e cautela si misero davanti e a protezione di quelle anime innocenti.

Non ci fu reazione alcuna da parte dei carabinieri, solo allora avanzarono gli uomini e le donne armati di zappe e vanghe.

Le chiesi infine … e i tamburi? C’erano i tamburi? Mi guardò negli occhi, spalancò i suoi vistosi occhi azzurri invasi dalle lacrime, alzò le sue sopracciglia e abbassò la testa con un gesto di conferma che era insieme orgoglioso e scontato. Come se quel suono fragoroso sia stato, per lei bambina, il momento liberatorio e la fine della paura fino a quel momento attenuata solo dalle braccia della madre.