Democrazia Diretta

Questi fotogrammi li ho estratti da un documentario ("I granai del popolo" dell'archivio Luce http://www.archivioluce.com/archivio/jsp/schede/videoPlayer.jsp?tipologia=&id=&physDoc=4254&db=cinematograficoDOCUMENTARI&findIt=false&low&section=/)
girato all'indomani della formazione del primo vero governo dell'Italia liberata, ovvero il secondo governo Badoglio, qualche mese dopo la caduta del fascismo. A quel governo parteciparono, per la prima volta dopo il ventennio, i disciolti partiti antifascisti. Ogni parte di queste foto è, a mio avviso, ben studiata e profondamente pensata prima di arrivare nei pochi cinema dell'Italia liberata (il Nord restava da liberare ed era in atto la Resistenza armata al nazifascismo). Cosa noto in queste foto:
Prima di tutto il documentario non è stato girato dentro un municipio (esautorati dalla democrazia e non più credibili), ma fuori in mezzo ad un'aia o una piazza con intorno immagini di luoghi in costruzione, pezzi di mobili accumulati in un angolo; si vede addirittura una gallina razzolare, una delle persone attorno al tavolo è seduta su quella che sembra una botte. C'è un signore con un bambino in braccio, quello seduto sulla botte è una persona anziana, c'è un altro anziano, sempre accanto al prete, ma anche uno che sembra un nuovo leader a capotavola, due signori vestiti bene e il prete all'altro capo della tavola e poi il carabiniere con la sua cartella sul tavolo. Non c'è una donna. I bicchieri d'acqua segno di una seduta non breve. Lavoratori, cittadini di un'Italia ideale, ma concreta, vicina alla realtà, povera certo, ma orgogliosamente libera e creativa.
Il significato è chiaro, si stava costruendo qualcosa di nuovo, di nettamente e radicalmente diverso dal passato fascista. Dovevano mostrare agli americani e all'Europa intera un nuovo modello di governo locale per "far vedere" cosa sapevano fare i democratici della prima zona che gli alleati liberavano. Quello che cattolici, antichi liberali e giovani azionisti, comunisti e socialisti mostravano era idealmente vicino a quello che i loro sogni ideologici volevano costruire. Un modo come dire: si riparte da qui!
Quell'inizio e quello spirito, non lo ritroveremo mai più.

sabato 26 febbraio 2011

Dal sito Katciu-Martel.it

“Pratopiano” è un progetto volto alla valorizzazione di un paesaggio, quello presilano, in Calabria, che nella località Prato Piano, posto nella valle solcata dal fiume Jumiciellu, un sub affluente del Crati, concentra una serie di microstorie e di caratteristiche peculiari.

Il libro che ho appena finito di scrivere, Ciccilla. Storia della brigantessa Maria Oliverio, del brigante Pietro Monaco e della sua comitiva, dell’editore Pellegrini, è l’occasione per far conoscere questo sogno/progetto da 10 anni in via di realizzazione.

Pratopiano è nel comune di Pedace, Casale di Cosenza, le cui origini - come il suo nome e il simbolo che lo rappresenta, un piede - rimandano agli antichi Bretti, poi denominati Bruzi dai Romani, che si insediarono nelle valli lungo gli affluenti del Crati (vedi Gabriele Barrio in De antiquitate et situ Calabriae, testo del 1571). I Bruzi erano dediti all’agricoltura nelle parti pianeggianti o ricche d’acqua, alla pastorizia e allo sfruttamento delle risorse dei boschi, ovvero, si spostavano dentro un territorio che era loro, dove “mettevano i loro piedi”. Quindi il piede come segno di egemonia. Non a caso, infatti, l’altro significato di Pedace, che lo fa derivare da pedaggio, riconduce ad un significato analogo.

Sono stati tutti i Casali dei bruzi a dare vita all’antica Consentia, poi Cosenza, che continuerà ad avere una storia di strettissima simbiosi con i suoi casali.

Pratopiano è uno dei luoghi dove queste popolazioni per secoli trovarono la risorsa intorno alla quale sostenere l’intera comunità: il castagno. Con il frutto del castagno si fa il pane e si allevano animali, le castagne trasformate potevano essere vendute e scambiate. Con i polloni dei castagni si costruiscono cesti robusti, con il legno case e pagliai resistenti alle intemperie.

Il legno del castagno, trasformato in carbone con una tecnica millenaria, è utilizzato come combustibile ideale per le forge, in quanto fa raggiungere al ferro la temperatura consona a modellarlo. Pedace, secondo Vincenzo Padula, per secoli è stato il paese dei coltellai. Significativamente nella sua descrizione delle produzioni peculiari del luogo aggiunge al termine coltelli diversi punti esclamativi per indicarne l’abbondanza.

Pratopiano conserva ancora le caselle dove si trasformavano le castagne in castagne secche. Il termine casella non è dialettale. Sull’antico vocabolario del Tommaseo (consultabile su internet) il termine è riportato con il significato di torre di castagnai (infatti turra è un altro sinonimo dialettale con il quale si identificano queste costruzioni). In altri luoghi d’Italia sono chiamate metato (Toscana ed Emilia) o teccio in Liguria e immagino che le terminologie siano diverse nel Mediterraneo alle stesse latitudini, in tutti quei luoghi che condividono la stessa cultura. Alcune caselle sono miracolosamente funzionanti, centinaia hanno funzionato fino alla metà degli anni 60, poi mano mano sono state abbandonate, le intemperie hanno fatto il resto.
Da Pratopiano passa una mulattiera, noi “indigeni” la chiamiamo carrera. E’ come un lungo solco dentro la montagna, ancora per lunghi tratti distinguibile, che dalla confluenza del fiume Jumiciellu con il Cardone porta fino al Parco della Sila, alle vette di Timpone Tenna e Timpone Bruno dove, in mezzo, sorge il Crati (Kratos in greco vuol dire potere, forza, autorità), il fiume simbolo della nostra millenaria identità culturale, che sfocia nel Mar Ionio, lì dove nacque la più opulenta delle città greche, Sybaris.
A Pratopiano ci sono decine di cupe, ovvero gli alberi monumentali di castagno, concavi all’interno e che resistono incrollabili al tempo, spettacolari, alcuni superano gli otto metri di circonferenza a petto d’uomo.
Ci sono i resti di un’antica carcara, una costruzione circolare dove, forse, venivano cotte le pietre che servivano per la produzione della calce. L’abbandono degli ultimi decenni ha poi prodotto una incredibile biodiversità: aceri, acacie, salici, ontani, pioppi, noci, querce, pini, abeti, si mischiano con i castagni, i meli, i peri, i pruni, i ciliegi, i sorbi.
Poi ci sono gli animali selvatici, pochi a dire il vero e perseguitati dai numerosi cacciatori. Tra gli uccelli il picchio, “katciu martel”, il vostro significativo simbolo. La presenza di alberi cavi dove trovare insetti e dove costruire i loro tipici nidi li rende particolarmente numerosi. C’è il picchio verde (in dialetto picune), il picchio rosso maggiore, il picchio muratore e il piccolo rampichino.
Ma il paesaggio è anche la storia di un luogo con gli uomini che dentro questo paesaggio sono vissuti o sono passati rimanendone colpiti e influenzati.
L’abate Gioacchino da Fiore, nato in uno di questi casali, a Celico, influenzò non solo la mente degli uomini di queste contrade. Ai rudi contadini bruzi, in pieno medioevo, Gioacchino insegnò a sognare un mondo migliore, il paradiso da costruire sulla terra.
Venga il Tuo regno, sia fatta la Tua volontà, come in cielo, così in terra … Queste parole, con questo significato, sarebbero state le stesse senza Gioacchino?
Intorno al 1200 decise di stabilire su questi monti la sua ultima dimora, acquistò persino un mulino a Pedace. Morì il 30 marzo del 1202, a Canale di Pietrafitta, a un’ora di cammino da Prato Piano. E, forse, doveva sembrargli proprio un paradiso questo angolo di Calabria, per quei tempi ricco e particolarmente salubre.
I terreni di Prato Piano e dintorni sono stati oggetto di usi civici, ovvero di ataviche rivendicazioni di diritti dei contadini. Presso l’Archivio di Stato di Cosenza si conservano gli atti di diversi processi che durarono per l’intero XIX secolo.
Nella valle del Jumiciellu la banda dei briganti descritta dal libro prima citato, commise diversi reati e in fondo al fiume, proprio a Pratopiano, il capo Pietro Monaco trovò la morte ad opera dei suoi compagni più fidati. Per non dilungarmi troppo rinvio al mio libro per spiegare l’interesse che ebbe Alessandro Dumas verso questi luoghi e questo personaggio, tanto da dedicargli un racconto di 7 capitoli ritrovato sulle pagine del giornale che diresse , “L’Indipendente”, nel Marzo del 1864.
I sogni di Gioacchino, lo spirito guerriero bruzio di tanti terribili briganti, le rivendicazioni di diritti e gli ideali di redenzione umana (così Fausto Gullo chiama gli ideali comunisti sull’epitaffio a mio padre) del XX secolo, divennero una miscela positiva per formare il nostro retroterra culturale.
Il fascismo non attecchì tra le nostre genti, particolarmente a Pedace. La Resistenza lunga (per usare le parole di Luigi Longo), l’antifascismo militante, trovò tra queste contrade consenso e sostegno. Tanto consenso da riuscire a nascondere, con la solidarietà e la complicità di decine di contadini, nel marzo del 1943 fino a luglio, in un momento di particolare stretta del regime che stava per finire i suoi giorni, l’antifascista Pietro Ingrao, il quale ricorda nel suo libro Volevo la luna, i giorni passati a Prato Piano e quanto sia servito alla sua formazione politica il contatto con questo paesaggio e con la tranquilla operosità di Zu Peppinu (mio nonno).
Pratopiano vorrebbe diventare un ecomuseo, un luogo della memoria di tutto quanto ho scritto e di tanto altro che c’è da scoprire e da scrivere. L’opposto di ciò che è effimero, che dura un giorno. Qualcosa che sia per sempre. Prima per trasmettere tutto ai nostri figli e poi per far apprezzare agli altri la nostra innata e sacra ospitalità.
Per sostenere questo progetto è nata una base scout. Perché gli scout hanno nel loro dna i valori della scoperta e dell’esplorazione, perché gli scout vivono a contatto con la natura, ospiti che apprezzano particolarmente il senso profondo del paesaggio che calpestano.

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